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Relazioni: Don Pascual Chávez – Intervento conclusivo

Pascual Chavez (IT)

Chavez_19-01-14

La Carità Pastorale
Centro e sintesi della spiritualità salesiana

 

Don Pascual Chávez,
Rettor Maggiore

In precedenza abbiamo visto che “tipo” di persona spirituale è Don Bosco: profondamente uomo e totalmente aperto a Dio; come l’armonia tra queste due dimensioni si è costruita in un progetto di vita assunto con decisione: il servizio ai giovani. Lo rileva questo commento: “Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa alcuna che non avesse di mira la salvezza della gioventù”i.

Se si esamina però il suo progetto per i giovani si vede che ha un “cuore”, un elemento che gli dà senso, originalità: “Realmente non ebbe a cuore altro che le anime”ii.

C’è quindi una spiegazione ulteriore e più puntuale dell’unità della sua vita: voleva, con la sua dedizione ai giovani, comunicare loro l’esperienza di Dio. La sua era non solo generosità, ma carità pastorale. Questa viene detta “centro e sintesi” dello spirito salesianoiii.

“Centro e sintesi” è un’affermazione impegnativa. E’ più facile enumerare vari tratti, anche fondamentali della nostra spiritualità, senza impegnarsi a stabilire tra di essi un rapporto o una gerarchia, che selezionarne uno come principale. In questo caso bisogna entrare nell’anima di Don Bosco o del salesiano e scoprire quello che spiega il suo stile.

Per capire che cosa include la carità pastorale facciamo tre passi: riflettiamo prima sulla carità, poi sulla specificazione pastorale, e infine sulla carità pastorale salesiana.

2.1. La carità

Un’espressione di San Francesco di Sales dice: “L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è la perfezione dello spirito; e la carità è la perfezione dell’amore”iv.

E’ una visione universale che colloca in scala ascendente quattro modi di esistere: l’essere, l’essere persona, l’amore come forma superiore a qualsiasi altra forma coscienza e rapporto umano, la carità come espressione massima dell’amore.

L’amore rappresenta il punto ottimale della maturazione di qualsiasi persona, cristiana o no. Lo sforzo educativo si propone di portare la persona ad essere capace di donarsi, ad un amore di benevolenza.

Gli psicologi, e non solo Gesù Cristo, dicono che la personalità completa e felice è capace di generosità e disinteresse, e previene l’amore che sia soltanto di concupiscenza, cioè per la propria soddisfazione di essere amato. Diverse forme di nevrosi o di perturbazione della personalità derivano dall’essere centrati su di sé. E le relative terapie tendono tutte ad aprire e decentrare verso gli altri.

La carità è poi la proposta principale in ogni spiritualità: è non solo il primo e principale comandamento; e dunque il programma principale per il cammino spirituale, ma anche la fonte di energia per progredire. C’è su di essa un’abbondante riflessione soprattutto in San Paolov e San Giovannivi.

Prendiamo solo alcuni nuclei.
L’accendersi della carità in noi è un mistero e una grazia; non proviene da iniziativa umana ma è partecipazione alla vita divina ed effetto della presenza dello Spirito. Non potremmo amare Dio se Lui non ci avesse amato per primo, facendocelo sentire e dandoci il gusto e l’intelligenza per corrispondervi. Non potremmo nemmeno amare il prossimo e vedere in esso l’immagine di Dio, se non avessimo l’esperienza personale dell’amore di Dio.

“L’amore che Dio ha per noi si è diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato”vii. D’altra parte anche l’amore umano non ha spiegazione razionale, e per questo si dice che è cieco. Nessuno riesce a determinare con esattezza perché una persona si innamori di un’altra.

Per questa sua natura, di essere partecipazione alla vita divina e comunione misteriosa con Dio, la carità crea in noi la capacità di scoprire e percepire Dio: la religione senza la carità allontana da Dio. L’amore autentico, anche solo umano, porta coloro che sono lontani verso la fede e l’ambiente religioso. La parabola del buon samaritano mette a fuoco il rapporto religione-carità a vantaggio di quest’ultima.

Lo riassumerà San Giovanni: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore”viii. Il significato del verbo “conoscere” è “fare esperienza”, piuttosto che avere nozioni esatte: chi ama fa una certa esperienza di Dio.

Poiché la carità è la facoltà che ci permette di conoscere Dio per esperienza, è anche quella che ci abilita a goderlo: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente…”ix.

Perciò non è solo una virtù particolare, ma la forma e la sostanza di tutte le virtù e di tutto quello che costruisce la persona: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli… e se avessi il dono della profezia… e se distribuissi tutte le mie sostanze ai poveri… e se possedessi la pienezza della fede sì da trasportare le montagne… ma non avessi carità niente mi giova”x.

Per questo la carità e ciò che da essa procede sono realtà che perdurano, resistono al tempo: “La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà. Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà”xi. Ciò si applica non solo alla vita, ma alla nostra storia. Quello che si edifica sull’amore rimane e costruisce la nostra persona, la nostra comunità, la nostra società. Mentre quello che si fonda sull’odio e sull’egoismo si consuma.

Perciò la carità è il più grande e la radice di tutti i carismi, attraverso cui si costruisce e opera la Chiesa. Proprio dopo aver spiegato la finalità e l’impiego dei diversi carismi, San Paolo introduce il discorso della carità con queste parole: “Aspirate ai carismi più grandi e io vi mostrerò la via migliore”xii.

E’ il carisma principale anche quando si esprime con gesti quotidiani e non presenta niente di straordinario o vistoso: quanto “è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace nella verità. Tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”xiii.

Anche per Don Bosco e Madre Mazzarello, come per tutti i santi, la carità è centrale. E’ l’insistenza principale della loro vita. Conviene saperlo e dirlo. Ogni tanto infatti qualche salesiano ne fa esperienza, scopre l’importanza della carità in un movimento ecclesiale, dopo molti anni di vita in congregazione. Sembra che in essa non ne avesse sentito parlare con efficacia e non l’avesse potuto vivere con intensità.

Nel sogno dei diamanti – che è una parabola dello spirito salesiano – la carità viene collocata davanti e proprio sul cuore del personaggio: “Tre di quei diamanti erano sul petto… su quello che si trovava sul cuore era scritto: CARITÀ”xiv. Si sa che in questo sogno o parabola ciò che è collocato davanti è la parte fondamentale del nostro spirito.

Inoltre, la carità viene raccomandata dai nostri fondatori in forme molteplici: come base della vita di comunità, come principio pedagogico, come fonte della pietà, condizione dell’equilibrio e della felicità personale, pratica di virtù specifiche, quali l’amicizia, la buona educazione, la rinuncia a propri interessi.

Anche nelle nostre Costituzioni imparare ad amare, è la finalità della vita religiosa medesima: “Un cammino che conduce all’amore”xv L’insieme di pratiche e discipline, di norme e insegnamenti spirituali vorrebbe ottenere una sola cosa: renderci capaci di accogliere gli altri e metterci a loro servizio con generosità.

2.2 La carità pastorale

La carità ha molte manifestazioni: l’amore materno, l’amore coniugale, la beneficenza, la compassione. Nella storia della santità le espressioni coprono tutti gli ambiti della vita umana.

I Salesiani (SDB) e le Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) parlano di una carità “pastorale”.
Questa espressione appare molte volte nelle loro Costituzioni, documenti e discorsi. Che cosa significhi carità pastorale lo dice bene il Concilio quando, riferendosi a coloro che si prendono cura di educare alla fede, dice: “Viene data loro la grazia sacramentale, affinché orando, santificando e predicando… esercitino un perfetto ministero di carità pastorale: non temano dunque di donare la vita per le loro pecore e, facendosi modello del gregge, muovano la chiesa anche con l’esempio verso una più grande santità”xvi.
La parola pastorale sta ad indicare una forma specifica di carità. Fa risalire mentalmente alla figura di Gesù Buon Pastorexvii. Non soltanto però alle modalità del suo operare: bontà, ricerca di chi si è perso, dialogo, perdono. Ma anche e soprattutto quanto alla sostanza del suo ministero: rivelare Dio a ciascun uomo e a ciascuna donna.

E’ più che evidente la differenza con altre forme di carità che rivolgono attenzione preferenziale a particolari bisogni delle persone: salute, cibo, lavoro.

L’elemento tipico della carità pastorale è l’annuncio del Vangelo, l’educazione alla fede, la formazione della comunità cristiana, la lievitazione evangelica dell’ambiente. Chiede dunque disponibilità piena e donazione per la salvezza dell’uomo, come viene prospettata da Gesù: di tutti gli uomini, di ogni uomo, anche di uno solo. Don Bosco, e dietro di Lui i salesiani, esprimono questa carità con una frase: Da mihi animas, coetera tolle.

I grandi istituti e le grandi correnti di spiritualità hanno condensato il cuore del proprio carisma in una breve frase. “Per la maggiore gloria di Dio”, dicono i gesuiti; “Pace e bene” è il saluto dei francescani; “Prega e lavora” è il programma dei benedettini; “Contemplare e consegnare agli altri le cose contemplate” è la norma dei domenicani.

I testimoni della prima ora e la riflessione successiva della Congregazione hanno portato alla convinzione che l’espressione che riassume la spiritualità salesiana è proprio il “Da mihi animas”.

Certo l’espressione ricorre con frequenza sulle labbra di Don Bosco e ha influito sulla sua fisionomia spirituale. E’ la massima che impressionò Domenico Savio nell’ufficio di Don Bosco ancora giovane sacerdote (34 anni) e lo mosse a un commento rimasto famoso: “Ho capito che qui non si fa negozio di danaro, ma di anime. Ho capito: spero che l’anima mia farà anche parte di questo commercio”xviii. Per questo ragazzo fu chiaro dunque che Don Bosco non gli offriva solo istruzione e casa, ma soprattutto un’opportunità di crescita spirituale.

L’espressione è stata raccolta nella Liturgia: “Suscita anche in noi la stessa carità apostolica che ci spinge a cercare le anime per servire te, unico e sommo bene”.

Era giusto che così fosse, dato che Don Bosco l’aveva avuto come intenzione permanente nella fondazione delle associazioni: “Il fine di questa società, se lo si considera nei suoi membri, non è altro che un invito a unirsi spinti dal detto di Sant’Agostino: “divinorum divinissimum est in lucrum animarum operare”xix.

2.3 Carità pastorale salesiana

Nella storia leggiamo: “La sera del 26 gennaio 1854, ci siamo radunati nella camera di Don Bosco e ci venne proposto di fare con l’aiuto del Signore e di San Francesco di Sales una prova di esercizio pratico di carità… d’allora è stato dato il nome di salesiani a coloro che si proposero o si proporranno questo esercizio”xx.

Dopo Don Bosco, i singoli Rettori Maggiori, da testimoni autorevoli, hanno riaffermato la stessa convinzione. E’ interessante il fatto che tutti si siano premurati di ribadirlo con una convergenza che non lascia spazio al dubbio.

“Don Rua ha potuto affermare ai processi: Lasciò che altri accumulasse beni… e corresse dietro gli onori; Don Bosco realmente non ebbe a cuore altro che le anime: disse col fatto, non solo con la parola: Da mihi animas, coetera tolle”.
Anche Don Albera, che ebbe una lunga consuetudine con Don Bosco, attesta: “Il concetto animatore di tutta la sua vita era di lavorare per le anime fino alla totale immolazione di se stesso… Salvare le anime… fu, si può dire, l’unica ragione del suo esistere”xxi.

Più incisivamente, anche perché mette a fuoco le motivazioni profonde dell’agire di Don Bosco, Don Filippo Rinaldi vede nel motto: “Da mihi animas”, il segreto del suo amore, la forza, l’ardore della sua carità.

Riguardo alla consapevolezza attuale, dopo il ripensamento della vita salesiana alla luce del Concilio, così si esprime il Rettor Maggiore Don Egidio Viganò: “La mia convinzione è che non c’è nessuna espressione sintetica che qualifichi meglio lo spirito salesiano di questa scelta dello stesso Don Bosco: “Da mihi animas, coetera tolle”.

Essa sta ad indicare una ardente unione con Dio che ci fa penetrare il mistero della sua vita trinitaria manifestata storicamente nelle missioni del Figlio e dello Spirito quale Amore infinito “ad hominum salutem intentus”xxii.

Da dove viene e che significato preciso può avere oggi questa espressione o motto? Dico oggi, quando la parola anima non esprime e non evoca quello che richiamava in epoche precedenti.

L’espressione si trova nella Genesi, al capitolo 14. Quattro re alleati fanno guerra ad altri cinque, tra i quali c’è quello di Sodoma. Durante il saccheggio della città cade prigioniero anche Lot, nipote di Abramo, con la sua famiglia. Abramo viene avvisato. Parte con la sua tribù, dopo aver armato gli uomini. Sconfigge i predatori, ricupera il bottino e riscatta le persone. Allora il re di Sodoma, grato, gli dice: “Dammi le persone, il resto è per te”. La presenza di Melchisedek, sacerdote di cui non si conosce l’origine, dà un particolare senso religioso e messianico al brano, soprattutto per la benedizione che pronuncia su Abramo. Dunque una situazione tutt’altro che “spirituale”. Nella richiesta del re c’è però la netta distinzione tra persone e “roba”, le cose.

Don Bosco dà all’espressione una interpretazione personale entro la visione religioso-culturale del secolo scorso. “Anima” indica l’elemento spirituale dell’uomo, centro della sua libertà e ragione della sua dignità, spazio della sua apertura a Dio. L’espressione di Gen. 14,21 in Don Bosco assume caratteristiche proprie, dal momento che del testo biblico fa una lettura accomodatizia, allegorica, giaculatoria, eucologica: animas sono gli uomini del suo tempo, sono i ragazzi concreti con cui ha da fare; cetera tolle significa il distacco dalle cose e creature, un distacco che in lui non è traducibile nel senso di annientamento di sé, di annientamento in Dio, come ad esempio nei teologi contemplativi o mistici; in lui il distacco è uno stato d’animo necessario per la più assoluta libertà e disponibilità alle esigenze dell’apostolato stesso.

L’intreccio dei due significati, quello biblico e quello dato da Don Bosco, avvicinato alla nostra cultura indica scelte molto concrete.

In primo luogo, la carità pastorale prende in considerazione la persona e si rivolge ad essa: a tutta la persona; prima e soprattutto le interessa la persona, sviluppare le sue risorse. Dare “cose” viene dopo; il fare un servizio è in funzione della crescita della coscienza e del senso della propria dignità.

Inoltre la carità che guarda soprattutto alla persona è guidata da una “visione” di essa. La persona non vive di solo pane; ha bisogni immediati, ma anche aspirazioni infinite. Desidera beni materiali, ma anche valori spirituali. Secondo l’espressione di Agostino “è fatta per Dio, assetata di lui”.
Perciò la salvezza che la carità pastorale cerca e offre è quella piena e definitiva. Tutto il resto viene ordinato ad essa: la beneficenza all’educazione; questa all’iniziazione religiosa; l’iniziazione religiosa alla vita di grazia e alla comunione con Dio.

In altre parole si può dire che nella nostra educazione o promozione diamo il primato alla dimensione religiosa. Non per proselitismo, ma perché siamo convinti che essa costituisce la sorgente più profonda della crescita della persona. In un tempo di secolarismo, quest’orientamento non è di facile realizzazione.

La massima da mihi animas contiene anche un’indicazione di metodo: nella formazione o rigenerazione della persona bisogna far forza e ravvivare le sue energie spirituali, la sua coscienza morale, la sua apertura a Dio, il pensiero del suo destino eterno. La pedagogia di Don Bosco è una pedagogia dell’anima, del soprannaturale. Quando si arriva a toccare questo punto comincia il vero lavoro di educazione. L’altro è propedeutico o preparatorio.

Don Bosco lo afferma con chiarezza nella biografia di Michele Magone. Questi passa dalla strada all’oratorio. Si sente contento ed è, umanamente parlando, un bravo ragazzo: è spontaneo e sincero, gioca, studia, fa amicizie. Gli manca una cosa: capire la vita di grazia, il rapporto con Dio, e intraprenderla. E’ religiosamente ignorante o svagato. Ha una crisi di pianto quando si paragona con i compagni e nota che gli manca questo. Allora Don Bosco parla con lui. Da quel momento comincia il cammino educativo descritto nella biografia: dalla consapevolezza e assunzione della propria dimensione religioso-cristiana.

C’è dunque una scelta e una ascesi per chi è mosso dalla carità pastorale: “Coetera tolle”, “Lascia tutto il resto”. Si deve rinunciare a molte cose per salvare la cosa principale; si possono affidare ad altri e anche tralasciare molte altre attività pur di avere tempo e disponibilità per aprire i giovani a Dio. E ciò non solo nella vita personale ma anche nei programmi e nelle opere apostoliche.

“Chi percorre la vita di Don Bosco, seguendo i suoi schemi mentali ed esplorando le tracce del suo pensiero trova una matrice: la salvezza nella chiesa cattolica, unica depositaria dei mezzi salvifici. Egli sente come la sfida della gioventù abbandonata, povera, vagabonda svegli in Lui l’urgenza educativa di promuovere l’inserimento di questi giovani nel mondo e nella Chiesa mediante metodi di dolcezza e carità; ma con una tensione che ha la sua origine nel desiderio della salvezza eterna del giovane”xxiii.

2.4 Sintesi del percorso fatto

Come sintesi riprendiamo le idee fondamentali della nostra riflessione.

La nostra è una spiritualità apostolica: si esprime e cresce nel lavoro pastorale.

L’apostolato diventa un’autentica esperienza spirituale, e non consumo di energie, stress e logoramento, se ha come anima la carità; essa dà facilità, fiducia, gioia nel lavoro pastorale.

Affinché l’apostolato costituisca “spiritualità” e non sia consumo di energie, con possibile logoramento, deve avere un’anima: è la carità. Essa dà facilità, fiducia, gioia nel lavoro pastorale.

La carità realizza l’unità nella vita del salesiano. Compone le tensioni che sorgono tra azione e preghiera, tra vita comunitaria e impegno apostolico, tra educazione ed evangelizzazione, tra professionalità e apostolato.

Tutto l’impegno della nostra vita spirituale consiste nel ravvivare la carità pastorale, purificarla, intensificarla: “Ama et fac quod vis”.